Pochi ebbero come il Barrili alto ed austero concetto della missione che incombe al giornalista: ardua, ingrata, scarsa di premio, doviziosa di spine. Lo ripeteva volentieri ai novizi, perchè, soleva dire, ciò giovava «a cremare» le scorie delle rosee illusioni e a mettere in rilievo le vocazioni vere.
A chi voleva lavorare con lui richiedeva sopratutto infaticabilità e duttilità intellettuale, e, con una certa coltura - fosse poi regolamentare o autodidattica poco importava - una larga versatilità per cui il pubblicista, oltre che abile all'«impasto» generale del foglio, fosse destro a passare a traverso tutte le mansioni con eguale agilità e prontezza, dall'articolo di fondo al più umile ma necessario «reportage». Già, per lui, non c'erano uffici umili nel giornale, che considerava, con senso d'euritmia, un tutto ordinato ad un solo fine: quello del miglior servizio del pubblico.
Ad un giovane venuto a lui sulla raccomandazione di un eminente uomo politico, per darsi all'ingrata carriera, pieno di fumi romanzeschi il cervello e di «afflatus» letterario lo spirito, dopo un sommario esame: - Ecco qui - disse - una cronaca di Borsa fatta da un competente in materia, ma ohimè! solo in materia. Mi ci metta un po' di
Anonimo -