Nella nona decade della sua vita, alle soglie del nuovo millennio, Czesaw Miosz decide di raccontare il suo Novecento. Comincia allora a rovistare nei cassetti della memoria e ne trae figure, luoghi, avvenimenti: un fulgido mosaico di vicende proprie e altrui che spaziano da un continente allaltro, da unepoca allaltra, delineando una personalissima enciclopedia del secolo appena trascorso, un alfabeto di ricordi e riflessioni sulla civiltà occidentale. Ma, come sempre, la memorialistica di Miosz scaturisce non già dallimpulso a eternare sé e il proprio vissuto, bensì dallesigenza di testimoniare, anzi di perpetuare il mondo, meraviglioso e terribile. Così, rinunciando al ruolo di protagonista per assumere quello di regista, Miosz chiama in scena grandi attori e piccole comparse, mosso dal duplice intento di salvare tutto ciò che in un modo o nellaltro ha avuto un ruolo nella sua vita, e di riflettere sul suo tempo. Non stupisce allora che accanto a medaglioni come quelli su Rimbaud, Schopenhauer, Whitman, Dostoevskij o Baudelaire compaiano riflessioni sulla pittura di Edward Hopper, sullalchimia o sul buddhismo; che «la fine del capitalismo» o «la stupidità dellOccidente» si specchino nei lemmi dedicati al mondo russo-sovietico; che i commenti sulla «spietatezza» o sulla «blasfemia», sul «pregiudizio» o sulle «lettere anonime» stemperino le loro note amare nel fascino di paesaggi nordici o mediterranei Inverness, la Selva Rudnicka di Vilna, il Connecticut, le acque trasparenti di Bocca di Magra.
Anonimo -