Le lande desolate della Patagonia, provvide di leggende, la frastagliata costa del Cile e il mare gelido dello stretto di Magellano furono per Francisco Coloane una fonte continua di ispirazione. "Antartico", dunque, è una raccolta di storie vicina ai libri più classici e fortunati di Coloane: come in "Terra del Fuoco" e in "Capo Horn", uno dei grandi protagonisti di questi ultimi, struggenti racconti è proprio l'oceano, popolato di figure fiabesche e di uomini coraggiosi. Tra i suoi flutti, si può incontrare il tetro Caleuche, il vascello fantasma che accoglie gli spiriti dei naufraghi periti nelle tempeste. Altre volte, tra la schiuma dei marosi, si scorgono grandi albatri che planano a pelo d'acqua in cerca di pesce. Solo un occhio inesperto li potrà scambiare per comuni volatili: sono creature magiche e potenti, presenti nella tradizione della cultura ona. La natura, insomma, s'impone su tutto. È grandiosa, spaventa e incanta: le scogliere del Pàramo, la laguna Sinaí sono lo sfondo ideale per ambientare l'avventura, lo straordinario. Alla fine è lei che vince sempre, anche se la si è frequentata tutta la vita. A volte offre persino una morte adeguata, come all'anziano palombaro, che risalirà cadavere dai fondali abbracciato a una campana di bordo. Lo scrittore Coloane, invece, visse a lungo per raccontarla. La Patagonia che conosceva era un territorio sanguigno e romantico. Gli uomini che navigavano per il Pacifico erano eroi di un'epoca pionieristica. Lui c'era arrivato negli anni Venti e aveva incontrato grandi tenute, allevamenti di migliaia di pecore. Qualche isola era ancora abitata dai pochi indigeni sopravvissuti. Quando vi tornò, novantenne, per trovare una terra in cui il sogno di sviluppo era in parte sfumato, si disse, con una punta di cinismo, che "forse progresso e bellezza non possono navigare assieme senza subire naufragi". Però non smise mai di cantare la magia di quei luoghi.
Anonimo -