Parlando agli studenti di architettura, Frank Lloyd Wright insiste sul fatto che manca un'educazione per gli architetti, che gli ingegneri fanno molti danni perché sono privi di quel senso poetico e artistico che è proprio del vero architetto; e rovescia la vecchia querelle ottocentesca che all'ingegnere riconosceva il primato di chi progetta la struttura e fa stare in piedi l'edificio, relegando l'architetto quasi nel ruolo di decoratore: ma un architetto che non sappia costruire un grattacielo anche sotto il profilo tecnico, per Wright non è un architetto. La sbornia e la mondanità dello star system architettonico all'inizio del XXI secolo ha prodotto una spettacolarità avulsa da ogni legame urbanistico: vige l'eccezione creativa, lo sballo immaginifico dell'architetto. Il koolhaassiano Junk Space procede così di pari passo con la Bigness e oggi ci si può chiedere se il decostruttivismo non sia stato, in fondo, un frutto abortivo di quella libertà dell'architetto-artista che Wright poneva come viatico all"'architettura organica". E ormai chiaro però - per citare ancora Koolhaas - che oggi "la sovversione è un nuovo tipo di stile", la cui bulimia espressiva ha smantellato in gran fretta un secolo di dibattiti sull'etica del progetto moderno. Per questo l'urgenza di una nuova educazione dell'architetto, invocata da Wright, è un fatto che riguarda anche noi. Prefazione di Maurizio Cecchetti.
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