Un impiegato metà Pessoa e metà Kafka scrive un diario fatto di note a piè di pagina a commento di un testo fantasma. Con piglio pacato e una raffinata stringatezza stilistica va a caccia di "bartleby", esseri che ospitano dentro di sé una profonda negazione del mondo e prendono il nome del famoso scrivano di Melville che preferiva non fare e non parlare. I bartleby finiscono per non scrivere nulla pur avendo tutto il talento necessario, oppure, se esordiscono, rinunciano presto alla scrittura. Un libro ironico ma anche incantato dal sortilegio della parola.
La nostra recensione
Libro originalissimo, fra saggio e finzione, che allarga (o addirittura abbatte) le frontiere del romanzo. In una società occidentale dominata dalla parola - Derrida già parlava di logocentrismo o fonocentrismo -, Villa-Matas si lascia dietro anche il verbo, cioè la parola scritta, rivalutando il silenzio e l'afasia come strumenti di straordinaria espressività. Mica è detto che si è degli scrittori solo quando si scrive!
Anonimo -