Un consunto aratro di legno, naufrago superstite di una stirpe plurimillenaria di aratri che con i loro vomeri hanno tracciato i mille solchi sullo sconfinato quaderno della storia, giaceva intriso di solitudine in uno dei tanti umili musei etnografici che qua e là impreziosiscono i più oscuri angoli della Sicilia. La guida gli dedica qualche calorosa parola ma la comitiva di giovani studenti in visita didattica non lo degna neppure di uno sguardo e passa oltre a lambire con occhi distratti altri oggetti reduci da un mondo a loro sconosciuto, ed indifferente. E invece, quanti brandelli di vita, quanti spasimi e quante fatiche, quante vibrazioni dell'anima e quanti sudori di mani infreddolite grondavano da quel legno travagliato e consunto. Era ovvio che se non si provvedeva in tempo c'era il rischio che l'anima di tutta una civiltà, strordinariamente ricca nella sua silenziosa umiltà, venisse brutalmente spazzata via dalle "fredde ali del tempo" senza che di essa restasse traccia al di fuori di qualche mozzicone muto lasciato a dormire nei musei. Da qui nasce il temerario tentativo di lanciare un ponte tra il pregnante vissuto dei loro padri e il vissuto delle giovani generazioni che nel giro di qualche decennio hanno dovuto fare un traumatico salto di millenni. Perché, senza legami con le radici, quali che esse siano, ogni pianta è irrimediabilmente destinata a inaridire.
Anonimo -