Si potrebbe a buon diritto incominciare una storia del problema critico "Caravaggio" con un paragrafo intitolato: "Un mito moderno: il pittore rivoluzionario", o qualcosa di simile. Un mito che nasce, piú di mezzo secolo dopo la morte del pittore, dalle pagine (a loro modo lucide ed acute) del più aulico ed autorevole biografo seicentesco, Giovan Pietro Bellori, il quale, in un discorso tenuto all'Accademia di San Luca (di cui era segretario) su "L'Idea del pittore, dello scultore e dell'architetto scelta dalle bellezze naturali superiore alla natura..." (1664), contrappone alla "ragione" ed alla "verità" degli "spiriti elevati" l'"opinione" "del popolo", il quale, per "amore di novità", approva le posizioni di "coloro che si gloriano del nome di naturalisti" e "non si propongono nella mente idea alcuna", "simili a Leucippo e a Democrito che con vanissimi atomi a caso compongono li corpi". L'atteggiamento di coloro che, imitando il Caravaggio "nel colorire dal naturale", furono "chiamati perciò naturalisti", viene cioè presentato come eretico ed eversivo dell'ordine morale e sociale. (Dall'Introduzione di Giovanni Previstali)
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