Lo chiamavano Maestro , benchè egli con la superbia d¿essere solamente scolaro della natura, avesse in supremo disprezzo gl¿insegnamenti che un uomo può dare a un altro suo simile. Non aveva egli disertato Brera a diciott¿anni, perchè all¿accademia, a disegnare un gesso immobile, più d¿uno ha sciupato l¿esistenza? Diciamo l¿esistenza per dire, ma dando retta a Giusto dovremo dire che molti hanno guastato la mano, l¿occhio, l¿intelletto d¿artista, e sono rimasti tutta quanta la vita copisti. Perciò egli aveva piantato il gesso immobile e scialbo, e dando al professore dell¿asino, se n¿era andato di buon passo fuori di Porta Ticinese, a empir l¿occhio di bel le linee mobili e di colori trasparenti.
Assicurava che la prima lezione di colore gliel¿aveva data una roggia, entro la quale l¿acqua si moveva appena, dando tutti i riflessi delle nuvole splendenti pel sole di maggio. La gran maestra gli aveva detto allo ra per la prima volta: «Giusto mio, lascia il carboncino, piglia la tavolozza e il pennello, guarda bene e cerca di far come me; sarà forse la disperazione di tutta la tua vita, perchè io farò quasi sempre meglio, ma se tu hai qualche cosa dentro e riesci a metterla in luce, sarai un grand¿artista e la gente, che me non guarda nemmeno, ammirerà l¿opera tua.»
Anonimo -