Pubblicato nel 1961, "Conoscenza dagli abissi" è l'apice dell'esplorazione sulle droghe allucinogene condotta da Henri Michaux per oltre un decennio. "Le droghe ci annoiano col loro paradiso. Ci diano, piuttosto, un po' di conoscenza. Noi non siamo un secolo da paradisi", dice Michaux per non creare malintesi. L'utilizzo delle droghe - siano esse la mescalina, la psilocibina,l'LSD o la canapa indiana - piuttosto che darci una facile ebbrezza di cui godere, può farci accedere ad una qualche forma di conoscenza, aprendo una breccia oltre i limiti dell'io, del corpo, del tempo e dello spazio. Una conoscenza, qui, sempre in bilico tra osservazione scientifica e ascesi. Perché alla rievocazione poetica di queste esperienze sui bordi dell'indicibile, Michaux non cessa mai di accompagnare la distaccata lucidità di un entomologo. Ogni droga, ciascuna col proprio diverso stile e intensità demoniaca di deformazione, diventa come un essere cui abbandonarsi e con cui a un tempo ingaggiare un corpo a corpo per non farsi sopraffare, ove decisivo è l'atto di scrivere. Ecco quindi il carattere unico e particolare di questa ricerca, del cui autore l'amico Cioran disse che lo faceva pensare ad un "allucinato in laboratorio", ad un "eremita che conosce l'orario dei treni". Dice altrove Michaux: "Sono le perturbazioni della mente, le sue disfunzioni, a farmi da maestri... le demenze, i deliri, le estasi e le agonie, 'il non saper-più-pensare' a farci scoprire a noi stessi". Negli ultimi capitoli del libro emerge il senso generale di quest'esplorazione: gli abissi in cui si viene risucchiati possono farci comprendere qualcosa, per empatia, di quei nostri fratelli, "fratelli di nessuno ormai, fratelli inconsapevoli", che sono gli alienati. E illuminarci su quanto labile e vulnerabile sia la relazione sensata del pensiero col mondo.
Anonimo -