Fuori dal teatro dove si è appena conclusa l'anteprima di "Viale del tramonto", Louis B. Mayer sta arringando una schiera di fedelissimi: "Bell'ingrato il signor Wilder, sputa nel piatto dove mangia". Dalla folla esce un omino, che si rivolge all'onnipotente e temutissimo capo della MGM: "Mi scusi, Mr Mayer, Wilder sarei io. Volevo dirle una cosa, perché non va a farsi fottere?". Fra le molte ragioni della fama di Billy Wilder, una era l'assenza di cautele diplomatiche - qualità decisamente rara in un ambiente votato, come Hollywood, alla consacrazione delle apparenze. La conferma arriva da questa lunga intervista con il collega Cameron Crowe, nel corso della quale Wilder apre per la prima volta i suoi archivi. Sotto i nostri occhi prende così forma una storia meravigliosa, fatta di fotografie in gran parte inedite (come quelle del prologo originale di "Viale del tramonto"), giudizi letali, persino consigli a chi è nuovo del mestiere. Nel corso del racconto parecchi idoli vengono infranti, alcuni sipari strappati, ma l'inspiegabile malia del cinema ne esce intatta. Tanto che alla fine la migliore elegia per Wilder sarà quella che lui stesso scrisse per il suo grande maestro, e per il mistero di un tocco ormai perduto: "Io so che cos'è il paradiso. È Lubitsch". Con la collaborazione di Karen Lerner e la collaborazione alla traduzione di Umberto Basevi.
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