"Sono stati scritti tantissimi libri sull'esser giovani, così come su tutto ciò che ha a che fare con le variegate esperienze che riguardano la procreazione, ma nulla o quasi sul passare oltre. Dal momento che io sono piuttosto avanti in questo processo, mi sono detta: 'Perché non provarci'. E così ci ho provato." Superati brillantemente i 90, Diana Athill si guarda attorno e decide di raccontare, senza falsi pudori, senza veli, senza paure, non tanto cosa c'è stato prima, quanto cosa succede ora. Cosa vuol dire esser "vecchi"? Per esempio combattere contro una serie di malesseri e disfunzioni del corpo. Ma anche essere finalmente liberi da pregiudizi, vizi, schiavitù. Il sesso? Ha smesso intorno ai 70 (e scusate se è poco), e pensava che le sarebbe mancato di più, ma in fondo è come quando si smette di bere vino: se si trova un buon surrogato, non è poi così male come si pensava all'inizio. Spensierato, ironico, franco, questo libro affronta l'ultimo grande tabù dei nostri tempi. E ne esce gloriosamente vincitore.
La nostra recensione
Gioioso e ironico, intelligente e concreto, Da qualche parte verso la fine è un esuberante ritratto della terza età scritto con una tenerezza priva di rimpianti, un po' autobiografia e un po' raccolta di riflessioni sul momento dell'addio. La sua autrice, del resto, non è certo una persona comune: classe 1917, Diana Athill è stata un'editor leggendaria nel mondo di lingua inglese. Si è nutrita di humour e letteratura, lavorando al fianco di autori quali Philip Roth, John Updike, Mordecai Richler, Simone de Beauvoir e Margaret Atwood. Ma lungo le pagine del suo godibilissimo pamphlet, la Athill sfiora appena i suoi incontri con i massimi scrittori, prediligendo un racconto lucido e birichino della vecchiaia, la sua vecchiaia, mostrando senza fraintendimenti che ad avanzare negli anni non è certo lei, né il suo spirito di novantenne ragazzina, bensì l'inconsapevole mondo che la circonda. In un gioco di incastri, Diana narra i suoi amori al tempo della guerra, la sua (decisamente) elastica visione della fedeltà coniugale, il suo ateismo spensierato e il piacere che le procura la compagnia dei giovani, sorretta dalla persuasione che "un vecchio non debba mai esigere la loro compagnia: meglio attendere gli attimi preziosi in cui sono i giovani a cercare dialogo e scambio". Una lucida riflessione sul tempo che passa e sull'imminenza della fine, sulla levità dell'essere - qui ed ora - godendo appieno della libertà che la stagione del tramonto porta con sé, senza lasciare spazio a pompose riflessioni o a definitivi proclami narcisistici. /
Athena Barbera
Anonimo -