Si può parlare di un'antropologia filosofica blumenberghiana? Perché l'autore la definisce "fenomenologica"? Come cambiano le pretese della filosofia, alla luce di una revisione antropologica della fenomenologia? In che condizioni e circostanze Homo sapiens e la sua ragione sono divenuti tali? Quali sono state le fasi cruciali del risveglio umano? E quali sono, ancora, le prestazioni e le strategie che consentono alla nostra specie di sentirsi a casa nel mondo? Come si costruisce il "biotopo sociale" e quanto è possibile per l'uomo modificare la propria realtà e la propria storia? Come può risolversi la "dialettica della caverna" tra sedentarietà e nomadismo, conservazione e utopia? Facendo esplodere il binomio natura/storia attraverso una riflessione sui tempi profondi dell'umanità, Blumenberg suggerisce la possibilità di un'antropologia filosofica non fissista né rigidamente essenzialista, e dunque, specularmente, di un pensiero politico che possa finalmente cessare di respingere come reazionaria l'antropologia filosofica, e anzi attingervi per comprendere le disposizioni dell'umano e il loro spazio di plasmabilità.
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