Come si evolve l'identità israeliana, in bilico tra una pace rimandata e un conflitto permanente, incline a riaccendersi di continuo fuori dei suoi confini ma anche dentro, tra le file confuse del suo stesso popolo? E' la domanda che il più celebre scrittore israeliano, Abraham Yehoshua, si pone in queste note "a caldo" che commentano, dall'interno di una cronaca partecipata e tesa, il profilo instabile della "pace fredda" tra gli israeliani e il mondo arabo. Yehoshua racconta lo stillicidio di attentati di cui è punteggiata la storia recente, dal massacro di ebrei a Hebron nel febbraio 1994 - da cui prende le mosse il taccuino - fino al tragico assassinio, per mano di un estremista israeliano, del premier Ytzhak Rabin nell'autunno 1995, eventi che prefigurano la pace come un dramma ininterrotto. Il diario arriva a registrare lo sgomento dei moderati all'annuncio dell'inattesa vittoria del leader della destra Netanyahu, analizzando i timori di una nuova escalation violenta. Da anni impegnato a sostenere la pace, Yehoshua ci parla di guerra ma anche di solidarietà, ritrae da vicino gli uomini che vivono quotidianamente in un'altalena tra fragili speranze e mai spenti rancori: è il caso dell'amico palestinese, l'intellettuale Hassan Hader che abita nell'inferno di Gaza; o della folla di ebrei ortodossi, con tanto di kippà sul capo, che si oppongono, con rumorose manifestazioni, alla normalizzazione del popolo ebraico. Lo scrittore si interroga sulle lacerazioni aperte nella società israeliana fra la componente tradizionalista, avvezza a identificare religione e nazionalità nel vivo di una contrapposizione frontale con gli arabi - avvertita come fondativa della propria stessa identità - e la componente laica, che guarda a un mondo senza frontiere e ai modelli di vita dell'Occidente secolarizzato.
Anonimo -