Alex Schwazer ha ripreso ad allenarsi. Forse la squalifica che ha cambiato la sua vita sta per finire. Dopo l¿archiviazione delle accuse da parte del Tribunale di Bolzano, che aveva avviato un¿indagine penale per doping e lo aveva sospeso dall¿attività sportiva per otto anni, il suo caso è diventato un simbolo di cadute e di redenzioni, di rinunce e di rinascite. E le Olimpiadi di Tokyo si avvicinano. Comincia qui la storia di un nuovo patto dell¿atleta con la propria anima e con il proprio corpo. C¿è il dolore del recente passato, ma ci sono anche l¿ansia del riscatto e soprattutto una nuova idea dello sport. È un patto che nasce dalla memoria di una vittoria storica: alle Olimpiadi di Pechino del 2008, Schwazer sale sul podio più alto nella 50 km di marcia. È il coronamento di un sogno. Ha solo ventitré anni. Poi si torna indietro, all'adolescenza a Vipiteno. Alex gioca a hockey, ma ha scoperto una forte passione per gli sport di durata. E così, a poco a poco, procedendo per tentativi ¿ prima la velocità, poi la distanza ¿, approda alla marcia. Vince a Reggio Calabria, entra nell¿Arma dei carabinieri e sotto la guida di Damilano si prepara a vincere il bronzo ai Mondiali di Helsinki e poi a Osaka. Il trionfo di Pechino complica tutto. È come la kryptonite, per lui. Si logora. Sempre più solo, e in preda alla depressione, va in Turchia e acquista l¿eritropoietina. A poche settimane dalle Olimpiadi arriva il controllo, e risulta positivo. Niente Londra. Niente più sport, forse. Una punizione esemplare. Tutti quelli che si fingevano amici d¿un tratto prendono le distanze. Ma è proprio allora che torna la febbre che sta prima e dopo ogni traguardo, il futuro che si tende nell¿aria: ¿Voglio combattere perché lo sport torni a essere sport¿.
Anonimo -