«Dove cresce il roveto», mostra promossa dall'Associazione Longaretti in collaborazione con il Politecnico delle Arti di Bergamo, allude al limitare dei boschi, ai fossati e ai bordi delle strade; a quegli ambienti liminali dove il confine è tanto fisico e impenetrabile quanto metaforico e simbolico. Potrebbero apparire insignificanti ma la loro presenza crea zone fitte di vegetazione che cresce non controllata come anche di significato. Il roveto è l'intrico dei segni sulla carta, del luogo germinale ma marginale, del nido che avvinghia proteggendo e costringendo. È un groviglio che avvolge, compendiando, l'immaginario fatto di luoghi irraggiungibili (Cristini), con quello delle bestie che si nascondono per sfuggire alla battuta di caccia (Brambilla). È il ramificarsi del segno che si stratifica in mappe impercorribili (Bonaschi); o il sentiero impraticabile perché inghiottito dalla vegetazione (Tessaroli); come è l'intreccio che avviluppa ciò che si abbandona (Rivellini). È uno spazio archetipico dove l'animale si sente ma non si vede (Molignani); o il luogo precluso dove l'inconscio proietta e fa fermentare le proprie figure grottesche (Erba).
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