Amstetten, capoluogo di provincia della Bassa Austria. Nell'agosto del 1984 Josef Fritzl rapisce la figlia diciottenne e la rinchiude in un bunker antiatomico da lui progettato e costruito nelle fondamenta della propria abitazione. Terrà prigioniera Elisabeth per quasi ventiquattro anni, e dai ripetuti rapporti incestuosi a cui la costringerà nasceranno sette figli. Il disturbante romanzo d'esordio di Paolo Sortino ricostruisce uno dei casi di cronaca più feroci degli ultimi anni, innestando nella spina dorsale di una storia vera e insostenibile una capacità affabulatoria che diventa fin dalle prime pagine il sistema nervoso della vicenda, il labirintico percorso obbligato attraverso il quale è possibile esplorare ogni aspetto di questo orrore domestico velato di complessi chiaroscuri. L'autore invade la cronaca (gli atti del processo al «mostro di Amstetten» sono secretati) reinventando alcuni episodi, e altrove sceglie invece di riportarli così come sono avvenuti, grazie a una voce narrante che non esprime giudizi né attribuisce colpe. Elisabeth, tenuta prigioniera come un animale nutrito nel caldo di una tana, è la protagonista assoluta di una vicenda che afferra il lettore e lo trascina di peso nel bunker, senza permettergli mai di uscire. Quello che rimane è una storia di amore e follia, terrore e desiderio: ma il valore delle semplici parole che appartengono al mondo «di sopra» - incapaci da sole di decifrare ciò che davvero può essere accaduto in quel bunker - è destinato a svanire. «Se Elisabeth poté perfezionarsi fu perché il mondo creato da suo padre era perfetto. Le cose che si trovavano fuori dal bunker non esistevano più; o erano tutte lì raccolte, oppure non erano mai esistite». *** «Non credete a quegli scrittori che millantano ammirazione per le opere dei loro colleghi, né tanto meno a quelli che dicono in giro di prendere in simpatia incondizionatamente gli esordi, e gli esordienti, di grande talento. A me per esempio questo Sortino mi sta già molto antipatico. Il suo Elisabeth avrei potuto, anzi dovuto, scriverlo io!» Marcello Fois *** «... uno scrittore vero, e che diamine». Nicola Lagioia *** «In Elisabeth succede qualcosa di raro: la scrittura si fa personaggio, quasi coscienza, e inchioda il lettore. Risultato: tutti noi apparteniamo a questa storia». Marco Missiroli *** «Paolo Sortino scende le scale dell'abisso e ne svela la materialità quotidiana con precisione chirurgica, ritrova nella cronaca una terra abitata dal mito e ce la restituisce in letteratura. [...] Sortino guida la narrazione con totale dominio dei mezzi espressivi, accanendosi su descrizioni che più circoscrivono più aprono fenditure: nell'emozione, nella capacità di cogliere l'imponderabile che contro ogni volontà di razionalizzazione sta al nostro fianco, non ci molla, ci ricorda che la preistoria, lussureggiante di inenarrabili sue virtù, erompe a volte dalle fondamenta del caseggiato a fianco, dove i sogni dell'infanzia si infrangono e la morte ha il volto, ancora, una volta e per sempre, del padre». Aldo Nove *** «Paolo Sortino sceglie uno stile sublime, traccia associazioni raffinate, la sua scrittura è così impermeabile alle mode letterarie da fare spavento. Ogni parola di questo romanzo è acume». Alcide Pierantozzi *** «Il fatto è agghiacciante, abissale. Il racconto è sublime. Le statue di marmo bianco vanno maneggiate coi guanti. Il contatto con una mano nuda, anche se pulitissima, può risultare letale: basta infatti la semplice traspirazione dell'epidermide per lordarle di impronte indelebili. Così sono certi fatti della cosiddetta cronaca nera: la durezza con cui si manifestano li rende fragili, li espone all'usura del nostro sguardo ingordo. E tale è l'avidità con cui li divoriamo, questi fatti, che non hanno il tempo di parlarci davvero. Paolo Sortino si è accostato all'agghiacciante e abissale fatto di Elisabeth con il raccoglimento rispettoso di chi entra in un santuario. Le parole che ha scelto per raccontarlo, più che a
Anonimo -