DAL LIBRO: Se la sentiva in pugno: roba sua: carne sua: profitto suo.
Quella sera le disse:
Sei troppo stanca: vattene subito a letto. Il rosario lo dirò sola. Domattina c'è bucato.
La piccola profuga abbassò il lucignolo della lampada a petrolio (dovevan mettere la luce elettrica; ma Annamara aveva detto: Dopo la guerra) ravvivò i tizzoni sul focolare; e, presa da una mensola la sua candela, «Buona notte» disse, che quasi non la si udì. E salì nel soppalco. Gli alti zoccoli trepestarono sugli scalini di legno.
Annamara rimase sola nella cucina. Vi lavorava e vi faceva i pasti, da quando il figlio era alla guerra. Le pareva, in cucina, di sentirsi meno abbandonata che nel tinello; c'era la servetta e c'era il fuoco. La servetta, di solito, andava e veniva, sfaccendava in silenzio. La legna sfrigolava, le fiamme lingueggiavano, a tratti i tizzoni rovinavan l'un sull'altro, e una più alta vampa s'alzava. Tutto questo era per Annamara un discorso, lungo e paziente, che le metteva l'animo in pace.
Gran confidenze s'andavan facendo, lei e il fuoco.
Anonimo -