Zé Cláudio Ribeiro da Silva e Maria do Espírito Santo, raccoglitori di noci nell'Amazzonia brasiliana, erano convinti sostenitori dei diritti della foresta e di chi la abita. Nel maggio del 2011 furono brutalmente assassinati a causa del loro impegno contro le attività illegali di diboscamento e commercio di legname. La loro morte si somma a quella di altri difensori della Terra che vengono assassinati, anno dopo anno, per essersi opposti all'infinita espansione della crescita economica globale: un soggetto ecologico anti-padronale, che lotta per tenere in vita il mondo, la cui storia è del tutto assente dal racconto ufficiale dell'Antropocene, era dei cambiamenti climatici e della crisi planetaria. Rispondendo all'urgenza di giustizia narrativa, questo libro elabora una critica femminista delle narrazioni egemoniche sulla crisi ecologica, mostrando come esse si basino sulla normalizzazione delle diseguaglianze e sulla svalutazione del lavoro riproduttivo e di cura, e come quest'ultimo costituisca una forza in grado di cambiare il sistema. Intrecciando ecofemminismo e materialismo storico, Stefania Barca guarda alla crisi planetaria dal punto di vista del lavoro riproduttivo il produrre e prendersi cura dell'umano nella sua interdipendenza con l'ambiente biofisico mettendone in luce la capacità di rifiutare e contrastare le logiche padronali che hanno prodotto la crisi. Di qui la proposta di una ecologia politica femminista, uno strumento che ci permetta di pensare le forze di riproduzione come soggetti di una rivoluzione ecologica planetaria.
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