«Un illustre contemporaneo di Goldoni, Denis Diderot (grande illuminista, padre della Enciclopedia), ricorda la propria giovanile tentazione di fare l'attore, e si confessa con lucida onestà: "Quale era il mio progetto? Essere applaudito? Forse. Vivere familiarmente con le donne di teatro che io trovavo infinitamente amabili e che io sapevo molto facili? Sicuramente". Ciò che conta - nel sogno di diventare uomo di teatro - non è tanto il successo, l'applauso del pubblico, bensì la possibilità di una vita più libera e più libertina, con le belle attrici che risultano "infinitamente amabili" e al tempo stesso "molto facili", cioè di facili costumi. Ecco, Goldoni non ha la limpida trasparenza delle esternazioni di Diderot, ma appartiene allo stesso secolo e alla stessa visione del mondo». Roberto Alonge cestina con un colpo secco la tradizione che ci ha consegnato il ritratto stereotipato di Goldoni 'buonista' e illustra al contrario il profilo di un artista organicamente inserito nel Settecento libertino di Casanova e del marchese De Sade. La tesi di Alonge è che Goldoni faccia finta di scrivere commedie, in realtà è forte e significativo il segno tragico dentro la cornice comica convenzionale. L'indagine procede mediante la lettura di una campionatura di testi che copre l'intera carriera drammaturgica: dal Momolo cortesan del 1738, prima commedia di Goldoni, a II ventaglio, capolavoro della sua stagione finale.
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