Non sono una scrittrice, tant'è che la prima preoccupazione mentre vagheggiavo l'idea di stampare queste pagine è stata quella di coniarmi uno pseudonimo ed essere personaggio tra i personaggi, voce narrante di vicende che, prendendo spunto dall'affetto e dalla gratitudine nei confronti di mia zia per avermi insegnato che "la vita è bella", si sono snodate sotto i miei occhi per le vie di Pistoia, una città - la mia - la cui topografia, sovvertita dal pudore di fronte a un esercizio che non mi appartiene, mi ha svelato una geografia del quotidiano tutta da riscoprire, dove strade e piazze si incrociavano e si dividevano seguendo un ordine surreale e svelavano ad ogni angolo altre storie accanto a quella di Clorinda, lungo un percorso ideale di vita sostenuto dalla convinzione che importante non è solo quello che facciamo, ma come lo facciamo, non è solo quello che viviamo, ma come lo viviamo grazie a una continua presenza a noi stessi, nel bene e nel male, tanto più in un'epoca come quella che stiamo vivendo da tempo, che probabilmente deve anche alla sempre più esigua dimestichezza con se stessi e alla non infrequente incapacità di dare un senso a quanto accade dentro di noi, l'incontenibile proliferare del disagio psicologico.
Anonimo -