Leonardo Bruni, detto Leonardo Aretino (Arezzo, 1º febbraio 1370 - Firenze, 9 marzo 1444), è stato un politico, scrittore e umanista italiano di Toscana, attivo soprattutto a Firenze, della cui Repubblica ricoprì la più alta carica di governo di Cancellierenella prima metà del Quattrocento. Bruni è considerato come uno dei più importanti storici di tutti i tempi.
Noto anche come Leonardo Aretino, uomo di grande personalità, arguto e forbito parlatore dotato di grande eloquenza, si inserì nella disputa sulla questione della lingua, discussione apertasi con l'avvento della lingua volgare all'interno della lingua in uso - specie in chiave letteraria a quell'epoca. Conobbe Francesco Filelfo ed ebbe come maestro Giovanni Malpaghini.
Nei suoi studi riscontrò fenomeni di corruzione della lingua latina dall'interno, rilevando ad esempio in Plauto le forme di assimilazione linguistica isse per ipse, oppure colonna per columna; teorizzò quindi che il latino si fosse evoluto dal proprio interno, sostenendo l'esistenza di una diglossia: oltre al latino classico, aulico, sarebbe esistito un livello inferiore, meno corretto, usato informalmente nei contesti quotidiani, da cui provengono le lingue romanze. Oppositore di questa teoria fu Flavio Biondo, il quale sosteneva invece che la causa della decadenza del latino fosse stata l'aggressione esterna dei popoli germanici. Gli studi moderni di linguistica hanno mostrato che le due teorie non sono effettivamente incompatibili e che il latino si è evoluto per ragioni sia interne sia esterne.
Nella prima metà del XV secolo si avevano pareri opposti in merito alla dignità del volgare; intellettuali come Coluccio Salutati e Lorenzo Valla disprezzavano il volgare perché non dotato di norme grammaticali; Leon Battista Alberti e Nicola Cusano, al contrario, si adoperarono molto per far riconoscere il volgare come lingua ricca di dignità nel panorama letterario. Leonardo Bruni concepì il dialogo Ad Petrum Paulum Histrum, nel quale dava la parola a due esponenti dell'umanesimo del periodo: Coluccio Salutati, appunto, e Niccolò Niccoli. Nella finzione letteraria, il primo asseriva che il volgare sarebbe stato degno solo se regolamentato da assiomi linguistici precisi, e si dispiaceva del fatto che Dante non avesse scritto la sua Commedia nel ben più nobile latino; il secondo proponeva una visione ancora più radicale, arrivando a giudicare tre fra i principali letterati italiani - Alighieri, Petrarca e Boccaccio - poco più che degli ignoranti. L'autore difendeva questi ultimi, riconoscendo la grandezza delle loro opere, invece di giudicarli in base alla lingua che usarono.
È celebre una sua epistola in cui delinea princìpi fondamentali dell'umanesimo.[
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