Quando si nomina F. Scott Fitzgerald il pensiero corre immediatamente all'"età del jazz". Eppure tre dei migliori racconti che abbia mai scritto risuonano di una diversa, inconfondibile melodia: il blues. Si tratta di tre "novelettes" il cui stato d'animo prevalente, al di là dei motivi, personaggi e toni delle narrazioni, è la malinconia. Scritti tra il 1920 e il 1926, ne sono protagonisti giovani e adolescenti le cui esistenze sembrano inevitabilmente costrette a dissiparsi e sfiorire. E forse proprio per questo li pervade la presenza ossessiva della morte. Dopo le visioni di ricchezze chimeriche in Il diamante grande come il Ritz, vi è la morte ad attendere chi potrebbe divulgarne il segreto. Nel soleggiato giorno di maggio di May Day sul ballo degli ex alunni di Yale si allunga l'ombra delle rivolte di New York del 1919. E Il ragazzo ricco, che l'autore stesso definì "una delle cose migliori che io abbia mai fatto", vede la sua vita privilegiata offuscata da personali irrisolutezze e tragiche morti. Anche là dove i toni sembrano inizialmente più scanzonati, dove la magia sommessa della scrittura di Fitzgerald è al suo apice, la tragedia incombe. Le note che si sentono, distinte, tra queste pagine e le rendono indimenticabili, continuano a essere quelle melanconiche del blues.
Anonimo -