Composto nel 44 a.C. pochi mesi dopo la morte di Cesare, il trattato "Il fato" segna l'ultima tappa della riflessione sul problema teologico, iniziata da Cicerone con i dialoghi "Sulla natura degli dei" e "Sulla divinazione". L'idea di fato, strettamente connessa con quella di un ordine naturale invalicabile, aveva particolare rilievo nel pensiero tradizionale romano, e la penetrazione della filosofia stoica nella società colta del I secolo a.C. aveva contribuito a rafforzarla, offrendo strumenti di difesa interiore contro la tirannide di Cesare. Ma ora che i tempi erano mutati, e nuove prospettive si aprivano all'intervento politico, Cicerone avvertiva la necessità di contrastare la tendenza all'inazione che il fatalismo inevitabilmente comporta, restituendo ai "boni viri" il senso della libertà e della responsabilità morale. Muovendosi con cautela, per evitare di coinvolgere nella polemica i fondamenti del costume nazionale, Cicerone confuta la tesi fatalista attraverso un sottile processo argomentativo, che mostrando l'infondatezza delle posizioni contrarie, dettagliatamente esaminate e contestate, approda infine alla rivendicazione convinta della libertà dell'individuo, capace di sottrarsi con la forza del volere alle maglie della necessità e del destino. In tal senso il trattato si inserisce con coerenza nel programma culturale di Cicerone, volto a dare un fondamento etico all'azione del cittadino, sulla base di una più aperta educazione intellettuale. Rigorosa nella struttura e nel linguaggio, l'opera è qui affiancata dalla bella traduzione di Francesca Antonini, cui si debbono anche l'introduzione e l'ampio apparato di note.
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