Nel giugno del 2015 decisi di andare a trovare mia madre, in Italia. Mia madre lavora in qualità di inserviente all'interno delle scuole pubbliche. Mentre mia madre termina i lavori, in un angolo di una delle classi che da giovine incrociai, ritrovai un cartellone, intitolato MAFIA a grandi lettere. Sotto ad essa, le foto delle stragi di Capaci e via d'Amelio, del 1992. Sapendo perfettamente che lo studio della nostra storia nazionale non è prevista dall'ordinamento scolastico, o quantomeno non fino ai giorni nostri, mi voltai di scatto verso mia madre ed esclamai: "E che è sta minchiata?". Mia madre, che come me ha il sangue siciliano che gli scorre nelle vene, mi guardò e mi disse: "È la mafia, lo hanno fatto le professoresse con gli studenti, per insegnare ad essi cosa fa la criminalità organizzata". Il mio volto si caricò di un'emozione di rabbia: "Questa non è mafia. Il giudice Falcone allora che ha lottato a fare?". Mia madre, che comprese che avrei portato l'argomento su un piano intellettuale, mi guardò e mi disse: "E cosa devono dire ai giovani? Falcone è morto in quella strage per mano della mafia". Risposi: "Lo so benissimo chi ha ucciso il giudice Falcone. Non sopporto di vedere questa foto. Non sopporto che con questa foto si ricongiunga la mafia a noi siciliani. E non sopporto il pensiero che chi ha favorito l'espansione della mafia non è in questo cartellone! Perché ai giovani non parlano del processo Pizza Connection? Perché ai giovani non parlano del processo Duomo Connection? Perché io che sono siciliano devo girare il mondo e sentirmi dire che sono mafioso solo perché sono siciliano? No madre, questo non lo accetto! Ai giovani bisogna dire cos'è la mafia, quella vera!".
Anonimo -