Il Verbo degli uccelli (Mantiq al-Tayr) è un poema allegorico persiano scritto a cavallo tra il XII e il XIII secolo da Far¿d al-d¿n `Attâr di Nishapur, uno degli astri non solo della poesia persiana medievale ma anche della ultramillenaria tradizione della mistica sufi. Nel viaggio degli uccelli che guidati dall'upupa, loro guida e maestro, partono alla ricerca del loro re Simurgh che sta oltre i confini del mondo, si distingue in controluce il viaggio del mistico sufi che sotto la guida di un maestro (shaykh) intraprende il cammino spirituale che lo porterà all'incontro con il re divino. Ma il viaggio degli uccelli non è una impresa semplice né alla portata di chiunque: dovranno attraversare Sette Valli perigliose (Ricerca, Amore, Conoscenza, Distacco, Unificazione, Stupore e Annientamento); dovranno perdere zampe, ali e piume per arrivare stremati alla corte del loro re Simurgh. E qui, dopo avere incontrato un arcigno araldo della Gloria e un affabile ciambellano della Grazia, scopriranno che il loro re è un grande specchio in cui i trenta uccelli superstiti vedono se stessi; una scoperta che nel poema è rivelata anche dal suo nome scomposto, Si-murgh, ossia il "Trenta-uccelli". Il Verbo degli uccelli è una grande parabola della mistica ricerca, con un esito che ha sconcertato gli interpreti dell'opera, sia in Persia sia altrove e nondimeno, si tratta di un testo che non cessa a distanza di otto secoli, di provocare, stimolare, interrogare anche l'uomo di oggi, immerso nella sua battaglia quotidiana per l'autoaffermazione o distratto da mille tentazioni e ambizioni, spesso dimentico del suo posto nel creato e, a differenza dell'uomo medievale, ignaro ormai della dimensione del Soprannaturale.
Anonimo -