""L'Avare", insieme al "Tartuffe" e a "Femmes savantes", è una delle commedie molieriane che presuppongono uno spaccato familiare, una 'casa'; ma a differenza del "Tartuffe" e di "Femmes savantes", la 'casa' di Harpagon è anche un luogo rigorosamente finto, esplicitamente e spudoratamente teatrale. Una casa che potrebbe essere, a differenza di quella del "Tartuffe" o di "Femmes savantes", una metafora del teatro coi suoi prodigi, le sue inverosimiglianze e la sua cartapesta. Non una vera casa borghese, dove la luce filtra dalle imposte socchiuse, meridiana o mattutina ma comunque naturale; bensí una casa dove tutto si svolge a lume di candela (non fosse l'avarizia), anche se è giorno, dove si sussurra e dove 'si sente'. Sarà lo zoppicare di La Flèche, saranno i colpi di tosse di Harpagon, fatto è che gli attori della Troupe du Roi, nell'"Avare", li sentiamo perfino respirare. E fra tutte le commedie di Molière, proprio "L'Avare" uno se la immagina volentieri adattata al gusto di oggi, anzi sembra fatta apposta per la stracceria di quelle regie dell'altro ieri, in chiave grottesco-espressionista, che stipavano la scena di muffe e di 'bric-à-brac'. Senza troppo esagerare, basterebbe sottolineare la fatiscenza di un ambiente domestico dove tutto funziona e, nello stesso tempo, tutto si disgrega e si decompone, pronto a crollare e a dissolversi sollevando un silenzioso fungo di polvere". (Dall'Introduzione di Cesare Garboli)
Anonimo -