Cosa significa essere costretti a lasciare le proprie case, i propri cari, le proprie vite, per fuggire dalla guerra? Valerij Panjuškin raccoglie le voci di chi ha perso tutto, tranne se stesso.
Perché sei rimasto? Perché sei scappato? Quando hai capito che era arrivato il momento? Cosa rispondi ai tuoi figli? Cosa ricordi, cosa speri? Hai paura?
"La Russia è l'unico posto sulla terra con una lingua che è diventata la lingua della menzogna: in Russia è vietato dire la verità e neanche la guerra può essere chiamata col suo nome. Per dire la verità in russo devo andarmene dalla Russia". Questo fa Valerij Panjuškin: osserva, raccoglie storie di profughi, e come i profughi di cui scrive a un certo punto se ne va anche lui, ma dal paese che la guerra l'ha dichiarata.
Le storie raccolte in questo volume sono storie di fatica, di dolore, di smarrimento, di rabbia. E di menzogna. Sono le storie di chi tace per non fare i conti con la disillusione, quelle di chi parla perché non può fare altrimenti, quelle tante di chi aiuta nonostante tutto e tutti, nell'ennesima declinazione di quella bontà spesso illogica che la letteratura russa conosce e declina da qualche decennio.
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