L'anomalia alla quale or ora accennai, parlando dell'impero austriaco, si mostra anche più esosamente nel turco. Sopra una popolazione di quindici milioni, i turchi sommano a forse un milione e mezzo. Un esercito di cento mila uomini governa tutta quella moltitudine ostile per credenze religiose, per tendenze politiche, per tradizioni di razza, e invasa da spirito di sommossa che in molti distretti montagnosi è perenne. Come in Austria, l'arte che fa per ora inefficaci quei germi di lotta e contende ad essi l'allargarsi è quella del divide et impera. La separazione fra quelle tribù, parecchie tuttavia semi barbare, tutte ignare ad un dipresso dell'altrui tendenze, è mantenuta studiosamente dal sultano. Pur arti siffatte non durano lungamente potenti. Per gli ultimi sessant'anni, il decadimento dell'impero turco in Europa è andato via via progressivamente operandosi; e nessuna forza di governi stranieri può oggi mai arrestarlo. Fin da prima del cominciare del secolo, la tribù slava del Montenegro s'emancipò dal giogo dei turchi; e la narrazione della lunga guerra sostenuta da quegli indomiti montanari è da studiarsi nella collezione generale dei loro piesmas o canti storici popolari, pubblicata nel 1837. Poi venne la Grecia - Poi, la Serbia; una lotta di venticinque anni, dal 1804 all'hatti-sherif del novembre 1829, le conquistò una indipendenza quasi assoluta: il pagamento d'un annuo tributo, e tre fortezze custodite dai turchi, ma facili d'accesso ad ogni insurrezione, gli unici avanzi in quella forte provincia della dominazione musulmana.
Anonimo -