In uno sperduto villaggio del profondo Sud degli Stati Uniti, Miss Amelia, una donna matura e indipendente, si guadagna da vivere con la sua bottega, ma soprattutto producendo e vendendo liquore di contrabbando. La sua esistenza cambia all'improvviso con l'arrivo del cugino Lymon, un nano capace di ingraziarsi l'intero paese, e di convincere Amelia a trasformare la bottega in uno scalcinato caffè, punto di ritrovo per la comunità. La felicità di Amelia è però a breve durata, perché il ritorno dell'ex marito, cacciato di casa la prima notte di nozze per ragioni mai chiarite, innesca una spirale di conflitti e violenze che cambierà la vita della donna e dello stesso villaggio. *** «Non era sempre stato un caffè. Miss Amelia aveva ereditato il fabbricato dal padre ed era una bottega che per lo piú teneva generi alimentari, fertilizzanti e altri prodotti come farina e tabacco da fiuto. Miss Amelia era ricca. Oltre la bottega aveva in funzione, a tre miglia nell'interno della palude, una distilleria da cui usciva il miglior liquore della zona. Era una donna alta e scura, con ossa e muscoli da uomo, i capelli tagliati corti e spazzolati all'indietro sulla fronte e nel viso bruciato dal sole un che di teso e sofferto. Avrebbe potuto essere bella se già allora non fosse stata un po' strabica. E c'era anche chi l'avrebbe corteggiata, ma Miss Amelia non si curava dell'amore degli uomini e preferiva la solitudine».
La nostra recensione
Che questa è una storia d’amore risulta chiaro fin dall’inizio; e che si tratta di una storia d’amore travolgente ed eccentrica lo si capisce dai personaggi che ne sono coinvolti: Miss Amelia, imponente, alta quasi un metro e novanta, violenta e autoritaria; l’ex marito Marvin, perdutamente innamorato di lei, cacciato di casa subito dopo le nozze e che ritorna dalla galera per bruciare in un attimo la felicità della donna; Cugino Lymon, un nano gobbo e sgraziato eppure così aperto e gioviale da conquistare non solo il cuore duro di Amelia, ma perfino l’intero desolato paese dove si svolge la vicenda. C’è un fascino seduttivo in questi personaggi grotteschi e al contempo quasi fiabeschi, un fascino che per funzionare non deve per forza essere compreso dagli altri abitanti del paese, che infatti assistono sbalorditi. Il gioco narrativo è tutto lì, in quell’immenso vuoto riempito da un amore inspiegabile, incredibile e silenzioso. Questa novella, o romanzo breve che dir si voglia, pubblicata nel 1951, ancora oggi sa esercitare una forte attrazione, sia per l’intensità emotiva che filtra dai personaggi, sia per la capacità di Carson McCullers di osservare ogni minima variazione dell’animo e trarne un’allegoria dell’amore, sfuggente, irrazionale, apparente. La ballata del caffè triste è una storia che avrebbe potuto certamente scrivere anche il Simenon degli anni americani, proprio perché mette a nudo la fragilità dei rapporti, la loro occasionalità opportunistica e la stanca, indolente rassegnazione all’abbandono che segue spesso l’asimmetria dell’amore. Eppure, nella malinconica tristezza di questa storia d’amore, l’autrice non rinuncia a infilare qua e là, sempre con eleganza quasi noncurante, brevi lampi di languida speranza. Un aspetto che si evidenzia con la stessa intensità nei sei racconti che completano questo volume, brevi, apodittici, fulminei ritratti della distanza che corre tra l’individuo e la sua proiezione fantastica.
Anonimo -