"Una pausa di due settimane nella vita di un intellettuale che aspira alla saggezza lo spinge - attraverso piccoli fatti in apparenza irrilevanti - a dubitare con buone ragioni di sé: e quell'intelletuale è Hesse stesso, che ironizza stupendamente sulla propria persona. Questo conflitto silenzioso, involontariamente comico ma non perciò meno duro, si svolge entro la cornice antiquata di una stazione terminale: su tale pretesto, Hesse ha costruito una delle sue più perfette parabole, ""La cura""(1925), che segue di poco a ""Siddharta"" (1922) e in certo modo ne è ""l'altra parte"". Come lì si assisteva a un itinerario verso l'illuminazione, qui si 'smonta' un illuminato occidentale troppo sicuro di sé, che viene messo in crisi da piccoli incidenti quotidiani - e da ciò è condotto a rivedere certe sue convinzioni troppo tranquille. Ma il punto di arrivo è lo stesso: in quella ""psicologia dell'occhio cosmico"" che è il grande dono di Hesse e davanti alla quale ""non c'è più nulla di piccolo, di sciocco, di brutto, di malvagio, ma tutto è santo e venerabile""."
Anonimo -