«La magistratura debordò e si attribuì un ruolo, linformazione debordò e se ne attribuì un altro, e lopinione pubblica debordò di conseguenza, ma si raccontò che aveva soltanto un ruolo da vittima.» A distanza di tre decenni fatichiamo ancora a inquadrare Mani pulite e in che misura abbia creato lincerto presente politico che viviamo. Se è vero che, come scrive Filippo Facci, «non aveva mai attecchito un vero senso dello Stato, e tantomeno una disposizione a scandalizzarsi per condotte poco etiche», da che cosa ebbe origine il clamore intorno a unindagine che, in apparenza partita da un comune caso di corruzione, ha cambiato per sempre limmaginario della nazione? Allepoca giovane cronista, lautore ha seguito le tracce e le crepe prodotte da quel terremoto, scavando nelle versioni improbabili la favola del magistrato onesto che smaschera i corrotti, lepurazione delle mele marce e in altre non meno improbabili e complottiste legate a scenari internazionali. Da quel lavoro emergono oggi risvolti inaspettati che si ricollegano a eventi e fenomeni vicini e lontani, tra cui il maxiprocesso di Palermo, che avrebbe dovuto essere salutato come la vera svolta e invece venne attaccato da più parti, e il bombardamento mediatico, con giornali e talk show impegnati a tenere vivo il clima emergenziale, spianando la strada allantipolitica. Tra protagonisti e comprimari, reazioni a caldo e insospettabili derive, rimuovendo ogni patina di ipocrisia, Facci restituisce un impietoso ritratto del paese che siamo stati e che forse siamo ancora, spingendo a domandarci: è giunto il momento di ammettere, con il procuratore capo Borrelli, che «non valeva la pena buttare allaria il mondo precedente per cascare in quello attuale»?
Anonimo -