La porta del tempo e l'infinito di Pietro Nigro indica sin dal titolo la meta di un viaggio che il poeta percorre, un vagare della mente (Istanti smarriti) fino ai confini segreti dell'esistenza. Proprio il tempo è l'elemento misurabile che costituisce il veicolo alla verità o, meglio ancora, la costruzione di nuove dimensioni. Si tratta di un'opera estremamente filosofica, attanagliata da una tensione dialettica che si realizza nel fondamento dell'esistenza stessa. Questa particolarità si ritrova sin dal testo incipitario, un poemetto in cui il rapporto vita-morte si inserisce in un'atmosfera visionaria che conduce al naufragio dell'io e al dubbio dell'oltre: «Avanzai lentamente / a schivi passi, / pauroso dell'ignoto, / al di là della piccola duna: / che cosa avrei visto / raggiunta quell'altura, / passato il varco?». Lo stesso poemetto si conclude con il sogno e con la speranza, nonostante di fronte ai dolori dell'esistenza il poeta ammetta che alle volte sia meglio non nascere. Ciò che all'apparenza potrebbe sembrare semplicemente una citazione letteraria (leopardiana) nel corso della lettura e delle indicazioni autobiografiche trasmette la realtà del dolore, il segno tangibile della ferita inferta dalla vita.
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