Gli ho sparato in volto senza motivo, come per uccidere un fantasma portato dal vento.
La nostra recensione
Un flusso di coscienza interrotto solo da brevi richieste di sapori della sua Sardegna: un cucchiaio di marmellata di more, un bicchiere di vino forte, un pezzo di caglio saporito, come a stringere di nuovo quella terra aspra e bellissima da cui è rimasto lontano troppo tempo. Quella che il padre-bandito fa al figlio in punto di morte è una confessione che brucia le viscere, uno sfogo che avvolge come una palla di fuoco e lascia solo cenere. Lo sa bene il bandito Bagolaris, la Primula rossa della Barbagia, una vita passata a nascondersi e a uccidere, lontano da quel figlio tanto amato da cui si è dovuto staccare appena dopo la nascita e a cui ritorna adesso dopo vent’anni, per depositare nelle sue mani una confessione senza pentimento. Eppure nelle sue parole non c’è solo la violenza che ha visto e provocato, c’è tanto rimpianto e soprattutto il desiderio di morire guardando negli occhi quel figlio sconosciuto, in cerca d’amore e comprensione ma non di perdono, perché di quello se ne può occupare solo il Padreterno. E allora ricordi di luoghi e sapori si intrecciano a rapine e omicidi, la poesia di tradizioni secolari alla violenza del piombo e del sangue: sempre di rituali si tratta, lascia intendere Salvatore Niffoi in questo romanzo crudo e serrato, riti di passaggio, di conquista e di conservazione. Esponente di spicco della nuova “narrativa sarda”, Niffoi sa soffermarsi con lucidità sulle piaghe della sua terra e restituirci con altrettanta passione la poesia che zampilla dalle sue radici. Racconto popolare e introspettivo insieme, La quinta stagione è l’inferno non è un ritratto stereotipato del banditismo sardo, scava in profondità nell’animo di uomo vorace di vita che non si accontenta delle quattro stagioni che ci sono concesse. Antonio Strepparola
Anonimo -