In piazza san Pietro e nel corso dei suoi pellegrinaggi nel mondo, papa Francesco è solito abbracciare, commosso e in silenzio, malati e bambini, anziani e poveri. E frequentemente, nei suoi discorsi pubblici, evoca il tema del pianto, arricchendo un «magistero delle lacrime» che si innesta nella plurisecolare tradizione della Chiesa e chiama direttamente in causa Francesco d'Assisi e Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti. «Solamente quando Cristo ha pianto ed è stato capace di piangere ha capito i nostri drammi». Da qui si comprende perché «certe realtà si vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime». Bergoglio non parla da antropologo e non dà spiegazioni teoriche sul linguaggio silenzioso che esprime la preoccupazione, l'impotenza e il dolore, ma anche l'amore, la fiducia e la tenerezza. E non si limita a parlare delle lacrime, ma parla attraverso le lacrime perché sapere piangere è grazia che appartiene a chi è capace di compassione e sensibile alle domande della storia. «Le lacrime di cui parla Francesco - commenta nella presentazione il vescovo Marcello Semeraro - non ci rimandano a un cristianesimo piagnone, ma a un cristianesimo desideroso di incontrare persone con le quali tuffarsi nell'acqua della misericordia di Dio».
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