"Leggendo e rileggendo Dovlatov viene in mente Cechov" hanno osservato i critici di questo scrittore ebreo russo prematuramente scomparso in esilio poco dopo la caduta del regime sovietico, ma originale e appartato rispetto allo stesso mondo della dissidenza. Tanto appartato e originale da aver fatto dire di sé che era sopra ogni cosa un "dissidente dalla vita". E si potrebbe aggiungere, più estemporaneamente, che leggendo e rileggendo Dovlatov, venendone a conoscere -attraverso i suoi libri a sfondo sempre fortemente autobiografico - l'atteggiamento di vita, amaro e dissipatorio, viene forse in mente anche il grande americano Carver. Dovlatov racconta sempre di piccoli episodi quotidiani, dai quali trae, mescolando il grottesco della vita con una bizzarra natura filosofica dei suoi personaggi (il più delle volte drop out che si arrangiano a vivere in Russia come in America), pessimistiche lezioni: le quali risultano al lettore contemporaneamente di irresistibile umorismo e assolutamente veritiere. Nella "Valigia", Dovlatov raccoglie tutti gli oggetti che intendeva, esule, portare via da Leningrado: a ogni oggetto corrisponde un episodio e un personaggio della sua vita vagabonda. "Pensai: ma davvero è tutto qui? E risposi: sì, è tutto qui".
Anonimo -