Dolores Prato racconta la propria adolescenza vissuta in un collegio retto da monache, séguito incompiuto di quel "Giù la piazza non c'è nessuno" che era invece dedicato agli anni dell'infanzia. E si capisce subito che il tempo non ha spento, nella lucidissima novantenne, né il vigore né il livore della memoria: l'occhio che volge su quei tempi remoti è spietato, tutt'altro che nostalgico, e ripercorre con feroce minuzia i luoghi ostili e le regole imprescindibili della vita conventuale. Non mancano di quei giorni, raccolte in una serie di appunti spesso folgoranti, le 'parole': parole che, sostituendosi alla parlata comune della provincia maceratese, diventano parte integrante della norma di vita presente e del modello di esistenza futura; parole, soprattutto, che segnano perentoriamente la differenza tra il 'dentro' e il 'fuori'.
Anonimo -