Cosa c'è di più infinito del ricordo? E cos'è una traccia, se non un segno tangibile, oggi, di ciò che è stato ieri? Le vestigia, appunto. Gesti quotidiani, sentieri percorsi, una rondine che torna in primavera, il ciclo delle stagioni. L'illusione dell'eternità. Riappropriarsi di ciò che è stato non è cosa semplice, tutt'altro. Occorre umiltà, soprattutto. Occorre accettare di essere piccoli, caduchi. Solo così, solo ammettendo la smisurata grandezza della Natura l'uomo può avvicinarsi ad essa e comprenderne le trame, leggere tra le righe delle sue composizioni - la musica del vento, la mutevolezza dei colori, le sensazioni sulla pelle - e, finalmente, renderle parole, versi, musica.
Anonimo -