Le Vite che Plutarco ha dedicato a Lisandro e a Silla non sono meno straordinarie di quelle di Demetrio e di Antonio. Lisandro è il generale volpe. Plutarco è affascinato dalla sua cautela e dalla sua astuzia: non ama l'orgoglio eccessivo, l'alterigia, il culto di sé, che lo colgono nella vecchiaia: ironizza sulle sue tarde macchinazioni, quando tenta di avere dalla sua, con l'inganno, il soccorso di Apollo; e nulla lo commuove quanto il momento in cui gli Spartani e gli alleati decidono di radere al suolo Atene. Un Focese intona per caso dei versi di Euripide, e tutti sono presi dalla compassione, e comprendono quanto sia assurdo distruggere la città che ha dato i natali a uomini così meravigliosi. Per Plutarco Silla è un groviglio di contraddizioni, come Antonio e Alcibiade. Nessun carattere gli sembra più incoerente. Quest'uomo devoto ai segni divini e che ostenta la protezione del cielo, viola i santuari degli dei: quest'uomo che ama la vita lieta, che si circonda di mimi e di buffoni e coltiva i motti dello spirito, finisce la sua esistenza come uno dei più sinistri e tenebrosi tiranni dell'umanità - proscrivendo, assassinando, massacrando - e il timorato Plutarco racconta con atroce impassibilità i suoi ultimi anni di sangue e di abominazione. Silla muore infestato dai vermi, putrefacendosi - e questa morte sembra un contrappasso agli orrori della sua vita. Edizione con testo a fronte.
Anonimo -