Davide Brullo sembra rappresentare in queste pagine un nuovo inferno terrestre: un presente di ombre e di macerie, di cerimonie nauseanti, su cui aleggia la nostalgia impossibile irripetibile del divino, di un mondo in cui i simboli esistevano, i cocci si rinsaldavano nellunità originaria. Tra queste realtà ulcerate, mostruose, si aggira la lince, la cui vista è così acuta da trapassare i muri e le montagne, rabdomantica e misteriosa. Pare avvolta nel sonno: ma è proprio quando lannunci estinta che la lince ti assale. Come la poesia, nellidea che Brullo le ha assegnato: lingua della rivolta, di chi non sta al gioco, armata di paradossi e di azzardi, priva di ogni lusinga, veemente nella denuncia, fatalmente votata allo scacco. Le visioni di Brullo sono austere, ma non idilliche, e non contemplano se non in sogno un paradiso. I lettori sono avvisati: non cè verità che possa reggere al pensiero delleterno. Brutale e ardente, privo di allusioni, né criptico né sperimentale, Lince è un libro inerme di fronte alla storia, cioè disarmato; estraneo a ogni forma di realismo espressivo; nel fondo misericordioso. (Giancarlo Pontiggia)
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