Da qualche decennio si usa chiamare semiotica la disciplina che si occupa dei segni, del senso, della comunicazione. Per gli argomenti che tratta, essa ha radici antichissime: di segni e di linguaggio si sono occupati i Presocratici, Platone, Aristotele, gli Stoici, Agostino e la Scolastica e poi tutta la filosofia moderna, da Cartesio in poi. In India, in Cina, nel mondo ebraico e musulmano si trovano riflessioni altrettanto antiche e ricche di stimoli. Nei suoi aspetti di scienza moderna, la semiotica è stata fondata due volte più o meno contemporaneamente, a cavallo fra Ottocento e Novecento: da un grande linguista europeo come Ferdinand de Saussure, che la vedeva come disciplina madre della linguistica e come parte della 'psicologia sociale'; e dal filosofo americano Charles Sanders Peirce, che la concepiva come una disciplina essenzialmente filosofica, apparentata alla logica e alla fenomenologia. Questa doppia anima della semiotica è presente ancora oggi. Innanzitutto perché nel lavoro semiotico contemporaneo le correnti principali sono due: quella 'strutturale' o 'generativa' che si rifà al lavoro di Saussure (attraverso l'opera di un altro linguista importante come il danese Louis Hjelmslev, di un antropologo come Claude Lévi-Strauss e soprattutto del semiologo che ne ha raccolto l'eredità, Algirdas J. Greimas); e la semiotica interpretativa sviluppata principalmente, sulla scorta del lavoro di Charles Sanders Peirce, da Umberto Eco.
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