La trilogia che Chalmers Johnson ha dedicato alle conseguenze della politica estera americana trova in "Nemesi" il suo atto conclusivo. Negli "Ultimi giorni dell'impero americano", Johnson aveva enunciato la tesi del "ritorno di fiamma" (blowback), ovvero la "vendetta", o, meglio, la "rappresaglia" che prima o poi gli Stati Uniti avrebbero dovuto subire, cosa poi puntualmente avveratasi con gli attentati dell'11 settembre. Nelle "Lacrime dell'impero" aveva denunciato il militarismo eccessivo con il quale l'ultima superpotenza del pianeta ha costruito le basi - che si stanno dimostrando sempre più fragili - del suo primato. In "Nemesi" esamina il futuro degli Stati Uniti in questo nuovo scenario. Le grandiose ambizioni dell'amministrazione americana e le spinte del terrorismo hanno profondamente cambiato la natura del paese, infrangendo spesso il dettato della Costituzione. I servizi segreti sono diventati una sorta di milizia personale agli ordini del presidente, con palesi violazioni dei diritti umani (vedi Guantànamo a Cuba, Abu Ghraib in Iraq, Bagram in Afghanistan). Intanto, per sostenere le spese militari e i consumi, il paese affonda sotto un debito gigantesco. Così gli Stati Uniti devono scegliere: rinunciare ai sogni di potenza per tornare ai valori che hanno ispirato la loro storia; oppure continuare lungo una strada che può portare solo al disastro. Il tempo della decisione, però, avverte Johnson, sta per scadere, perché la dea Nemesi, dea della ricompensa e della vendetta, è già arrivata, "è nuova del quartiere, sta dando un'occhiata in giro", e presto l'America dovrà farci i conti.
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