Una delle pagine più straordinarie, eppure meno note, della storia italiana del XX secolo: quella degli oltre seicentomila militari che volontariamente, consapevolmente, a costo di indicibili tormenti, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 scelsero la prigionia nei lager nazisti pur di non proseguire la guerra dalla parte di Hitler e Mussolini. Ma chi erano questi uomini che poterono tornare a casa soltanto nell'autunno del 1945, stremati e con le divise lacere? "Per la monarchia eravamo i testimoni scomodi dell'8 settembre. Per i fascisti eravamo dei traditori. Per i partigiani eravamo i relitti di un esercito monarchico compromesso dalle guerre fasciste o, nel migliore dei casi, gli imbarazzanti concorrenti di 'un'altra resistenza'", spiega un ufficiale ex internato. "Ma soprattutto, con la nostra scelta di dire 'no!' al nazifascismo, davamo fastidio a tutti coloro che una scelta avevano preferito non farla, cercando di tirare a campare, in attesa di vedere come andava a finire..." Traumatizzati da quell'esperienza, delusi e mortificati dall'accoglienza in patria, i nostri soldati sopravvissuti ai lager fecero di tutto per rimuovere quella loro tragedia, dimenticando e facendosi dimenticare, evitando di partecipare a celebrazioni e rievocazioni, tacendo per lungo tempo anche in famiglia. Tanto, come scrisse Primo Levi e come gli stessi nazisti avevano previsto, qualunque cosa i deportati avessero raccontato, non sarebbero stati creduti... Questo volume raccoglie le toccanti testimonianze di militari italiani internati e i 'ritratti' di alcuni deportati 'eccellenti', da Giovannino Guareschi a Giuseppe Lazzati.
Anonimo -