Un palco buio, un volto bianco, gli occhi come pozze nere. Le movenze scattanti, la voce profonda e le parole perentorie di Carmelo Bene. Ciò che la sua bocca carnosa, erotica, pronuncia è il frutto di un procedimento che senzaltro appartiene a una forma rivoluzionaria di arte. Poesia? Sì, quella di Dante, Majakovskij, Shakespeare. Eppure la carica è diversa, contemporanea; in ogni performance brucia il fiato del tempo presente, vibra un furore corporale, pancreatico.Lopera di Carmelo Bene ha attraversato unintera epoca e ha segnato come poche altre le arti performative del nostro paese. Jean-Paul Manganaro ne compone un ritratto al vivo: Oratorio Carmelo Bene è romanzo, autobiografia, saggio letterario e tutte queste cose insieme. È lopera che meglio può inglobare larte di Carmelo Bene perché è anchessa arte, scrittura dalle infinite possibilità, lingua vivissima e materiale, eccesso e sfrontatezza. Un libro che ricrea tra le sue pagine lo choc di uno spettacolo di Carmelo Bene, trascinandoci verso «sensazioni impercepibili», un «nulla pieno» che ci colma e ci fa traboccare, e che infine è «un tutto che non ammette discorso».
Anonimo -