Il conte Alberto Landucci, seduto accanto al fuoco, leggeva il giornale. Renata, sua figlia, una ragazza dal profilo di madonna e dal portamento altero, camminava su e giù attraverso limmenso salone, per riscaldarsi.
Che hai che non puoi star ferma le chiese il padre interrompendo la lettura.
Ho freddo, e finchè non farai mettere anche tu una buona stufa, come la zia Emilia, si morirà dal gelo.
Tua zia è pazza; piange miseria e fa sempre nuove spese; i nostri vecchi si contentavano di riscaldarsi col camino, ed erano più sani e più forti di noi; poi una bella fiammata rallegra e ci tiene compagnia.
Sarà benissimo; ma intanto io soffro, ho tanto freddo che non posso star quieta.
Fa portare un po di legna; poi verrà gente, e avremo fin troppo caldo.
Renata savvicinò al cordone del campanello e gli diede una strappata con forza. Entrò un servo vecchio, un po curvo, vestito di nero, colla cravatta bianca e la faccia rasa; egli si fermò sulla soglia ad aspettare gli ordini.
Il conte senza parlare accennò al camino; il domestico, abituato a capire con prontezza gli ordini del padrone, andò tosto a prendere la legna, che posò sugli alari di quel maestoso focolare.
Renata prese un libro, si sedette accanto ad un tavolino sul quale ardeva una lucerna ad olio e finse di leggere; ma la sua mente vagava lontano, fuori dalle mura della sua casa, cupa, affumicata, dove il padre, nemico dogni progresso, non voleva apportare la più piccola innovazione.
Anonimo -