Nel Civico Planetario tutto è illusione, se il cielo e le stelle e il paesaggio tutto non sono che ricostruzione e proiezione, come forse accade anche nel linguaggio poetico. Ma si tratta di unillusione felice, che produce senso e luce, e che si riverbera sullesistente, colto come in una miniatura: e chi miniando sfavilla / meravigliato un paesaggio. Così la fisionomia imprevedibile dei versi compone il libro forse più alto ed esatto di Andrea Gibellini; un libro che, nel suo imperfetto alfabeto di fuoco, dichiara con fermezza di non voler dire le cose della cronaca, e tuttavia sa interpretare struggevolmente la nostalgia del presente; un libro in cui si colgono i frammenti di un dialogo a distanza con gli autori amati (Mandelštam, René Char, Vittorio Sereni, quella scuola emiliana più volte richiamata, e lultimo accorato omaggio a Francesco Scarabicchi; ma si sente anche leco non lontanissima di Andrea Zanzotto e la netta presa di distanza da ogni accademismo), frammenti tuttavia reinterpretati in una pronuncia originale. Un libro, infine, in cui lordine mirabile delle cose è costantemente attraversato da un soffio inquieto, che non consente al testo di ripiegarsi in elegia, se il fine dellarte è lagitazione, / non so come spiegartelo, / rendertelo visibile // inserendo nellapparente cielo terso / una scossa interiore senza fine.Fabio Pusterla
Anonimo -