La ricerca dei fondamenti ultimi della conoscenza e della razionalità è da tempo considerata assai problematica e, dopo tutto, infeconda. In alternativa, gran parte del pensiero contemporaneo si è impegnato ad esplicitare le diverse funzioni e istanze che intessono l'attività conoscitiva e razionale, introducendo apparati concettuali che pregiudicano fortemente l'istanza fondazionalista della filosofia moderna. Questo volume esplora la rilevanza del pragmatismo di Ch. S. Peirce, W. James e G. H. Mead rispetto a tale orientamento, rintracciando nella loro complessa versione del concetto di esperienza i presupposti di un discorso filosofico che insiste sulla natura interpretativa e perciò sempre fallibile dei processi cognitivi, senza tuttavia cedere agli esiti scettici della crisi del fondazionalismo. L'esame di un gruppo di temi che continuano ad alimentare il dibattito odierno-quali l'autocoscienza, il linguaggio, il rapporto tra fattori empirici e logico-semantici della conoscenza, tra individualità e socialità, tra scienza ed etica, tra affettività e razionalità - evidenzia il carattere antidogmatico della vena naturalistica del pragmatismo e il suo impegno 'terapeutico' nei confronti dei vari dualismi sottesi alla tradizione filosofica occidentale. Si prospetta così una lettura del pensiero di Peirce, James e Mead che, a differenza di quelle prevalenti, valuta i loro punti di vista come modi diversi di declinare un progetto comune, piuttosto che come veri e propri contrasti speculativi.
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