Questo saggio-intervista scandaglia il fenomeno sommerso della propaganda e in particolare una sua manifestazione attuale. Nell'Occidente democratico la propaganda che plasma l'opinione pubblica sembra scomparsa dai radar, non perché assente, ma perché diventata a tal punto parte della nostra quotidianità da risultare impercettibile, talvolta perfino per chi la pratica, tanto l'utilitarismo tecnico e il pragmatismo ipocrita sono diventati filosofia di vita. Sgombriamo subito il campo da eventuali equivoci: la propaganda postmoderna nell'Occidente democratico si riallaccia sì alle forme che l'hanno preceduta, ma non è più espressione di movimenti di massa con il suo capo "carismatico" come nel Novecento, se non in forma grossolana e residuale, bensì soprattutto dell'invisibile oligarchia economico-finanziaria-culturale e dei suoi portavoce, anche istituzionali, che muovendosi dietro le quinte ne tessono la tela: una trama e un ordito alla moda, che si adatta comodamente a tanti. E qui sta la vera sfida: siamo pronti a disfarci di ciò che ci tranquillizza, ci fa sentire buoni e realizzati, nel momento stesso in cui ci usa, ci inganna, ci impoverisce intellettualmente e socialmente? Sembrerebbe di no, e ne è una testimonianza la passività se non l'approvazione che accompagnano, dagli anni Novanta del secolo scorso in area UE negli USA anche prima, l'ascesa imperiosa, benedetta dal grande capitale, dell'unica ideologia ancora in auge tra quelle nate nell'Ottocento: il femminismo. Le ragioni che spiegano come questo movimento abbia acquisito in un tempo così breve tanto potere sono molteplici, e vi si accennerà, ma una merita un più rigoroso approfondimento: l'utilizzo della propaganda. Scopo di queste pagine è far luce su questo fenomeno sociale nell'attuale Occidente, e mostrare in che modo si esprima in un movimento ideologico che, grazie al suo ausilio, viene recepito dall'opinione pubblica in modo diametralmente opposta alla sua reale natura. Una verità eretica, scomoda, rischiosa ma essenziale.
Anonimo -