L'uomo, sin dalle origini della sua storia, si è sempre sentito inadeguato rispetto all'illimitata e minacciosa estensione dell'ambiente esterno, della natura, dell'universo, e ha sempre avuto coscienza del fatto che la sua esistenza potesse cessare in qualunque momento, in modo più o meno prevedibile. In altri termini, nel momento stesso in cui provava stupore per l'immensità degli spazi cosmici, per la complessità e la violenza dei fenomeni naturali, egli veniva sperimentando anche la trasformazione del suo stupore in orrore e terrore, in una sensazione di impotenza e di paura derivante dal vedere o dal sentire immersa la sua vita in un costante stato di pericolo. A ben pensarci, tutta la civiltà umana è mossa dal desiderio e dal bisogno di porre l'intelligenza, la razionalità, il sapere, al servizio di un universale progetto spirituale di tamponamento, se non di neutralizzazione e blocco delle forze centrifughe e dispersive della vita. Lo stesso interrogarsi sulla morte, sui suoi problemi e sulle sue implicazioni metafisiche o religiose, viene esercitandosi in ragione di una incontenibile, seppur forse inconscia, speranza di vita. In questo senso, la nostra vita, i valori, il senso, le finalità che le riconosciamo, dipendono in grandissima parte dall'importanza che diamo alla morte, alla morte come evento e come problema dotati di una duplice valenza: individuale e collettiva. Ma, per quanto grande possa essere, l'importanza attribuita a tale tema non ne riduce certo la natura fortemente problematica per cui da un rigoroso approccio interpretativo a quest'ultimo possono derivarne immagini diverse e dotate di diverso valore esistenziale. Un'immagine è quella della morte come conclusione definitiva di un processo unico e irripetibile di vita, una seconda immagine è quella della morte come conclusione di un ciclo di vita non unico e irripetibile ma possibile tra tanti altri e ulteriori cicli vitali, un'altra immagine è quella della morte come momento intermedio tra una vita vissuta in un involucro totalmente corporeo e una vita vissuta dallo stesso individuo in un involucro totalmente spirituale donde la completa disgiunzione dell'anima rispetto al corpo, e infine e particolarmente rilevante, oltre che fatta propria dall'autore, è l'immagine di matrice cristiana della morte come fine di vita mortale e inizio di vita immortale e di vita immortale nella duplice possibile e alternativa forma di vita "pneumatica", ovvero rivestita di spirito divino e quindi capace di governarne le funzioni fisico-corporee con annessi e connessi appetiti sensibili e sensoriali, e di vita "psichica" e "ilica" o "materiale" abbandonata a se stessa e alle sue inclinazioni irrazionali e quindi incapace di elevarsi all'unione-visione beatifica con Dio. Di conseguenza, scrive Francesco di Maria, «nella fine potrebbe essere l'inizio: di una nuova vita, di una nuova umanità, di un nuovo e definitivo modo di pensare e di vivere, proprio per effetto non già di una democratica ma difettosa o impura sapienza umana ma di una monocratica e santa, infallibile e inesauribile scienza divina».
Anonimo -