Il libro si presenta subito come diverso dalle forme con cui di solito la filosofia viene espressa e i filosofi vengono raccontati. Nella prima parte del libro, l'autore Immagina un Dio bonario e ironico che svela la tragicomica contraddizione tra il Nietzsche pensiero e il Nietzsche uomo (tra l'altro con uno stile che ricorda proprio il sarcasmo di Nietzsche). Viene quindi tracciata con opportuna documentazione la biografia impietosa di un uomo debole, sradicato, ramingo: un idiota da contrapporre all'erudito ex collega universitario Jacob Burckhardt che invano Nietzsche cercherà di sedurre alle sue idee, fino a quando Burckhardt stesso non lo mandò di fatto in manicomio, dopo aver ricevuto una delle deliranti lettere che Nietzsche spedì da Torino (i cosìdetti "biglietti della follia" che verranno trattati in un breve saggio nella terza parte del libro "Quello strano autunno torinese"). Dopo aver spulciato tra lettere, biografie e testimonianze l'autore conclude il libro disarmando quanti potrebbero infastidirsi dallo sbeffeggiamento di un eroe della filosofia contemporanea, affermando che: «Non c'è nessuna pretesa con questo scritto di dare un giudizio né all'opera né alla persona di Nietzsche. La consapevolezza di quella storiella indiana in cui degli uomini bendati toccano una parte dell'elefante e si convincono che esso abbia le qualità della proboscide o delle zanne o delle zampe... me lo impedisce. Quest'opera vuole essere solo un atto d'amore e di empatia per il Nietzsche, spirito libero libero anche da se stesso e un gradevole, si spera, diversivo culturale per il lettore.» Interessante poi è la scelta della citazioni nietzschiane all'inizio di ogni capitolo: a seconda di come si riesce a leggerle esse riescono contemporaneamente a contraddire e/o confermare quanto scritto nel capitolo.
Anonimo -