Massaio Turi aveva incontrato il ragazzo una sera nel punto dove finisce, sul ciglione della Arcura, la scorciatoia che dal mulino di Catalfàro conduce a Bardella. Il ragazzo stava accoccolato sur un sasso, con le mani strette dietro la testa. I gomiti aguzzi gli scappavano fuori dagli sdruci delle maniche della camicia. Non aveva scarpe ai piedi. La giacchettina scolorita e stracciata era buttata là accanto.
Massaio Turi gli si era fermato davanti, domandandogli:
- Dove vai? Che fai qui?
Il ragazzo lo guardò sbigottito, grattandosi il capo.
- Come ti chiami? Di chi sei figlio?
- Mi chiamo Mommo. Sono figlio di compare Pino.
- Che fai qui?
- Niente.
- E dove vai?
- Non lo so. Vengo da Palagonía.
- Che facevi colà?
- Niente: domandavo l'elemosina.
- Bel mestiere t'insegnava tuo padre!
- È morto mio padre.
- E tua madre?
- Chi lo sa dov'è! Io guardavo i tacchini del notaio.
- Quale notaio?
- Del notaio; lo chiamano così. Mi ha mandato via.
- E perchè ti ha mandato via?
- Dice che ho perduta una tacchina.
- Dice? L'hai perduta davvero.
- È sparita. L'ho cercata tanto!
- E poi ti sei messo a domandar l'elemosina!
- Che potevo fare? Avevo fame.
- E ora come sei qui? Dove vai?
- Non lo so. A Palagonía gli altri ragazzi mi picchiavano.
- Su, prendi la giacchetta e vieni con me.
Il ragazzo obbedì. Lungo la strada, massaio Turi continuò a interrogarlo.
- Quanti anni hai?
- Nove anni.
- Vuoi allogarti per guardare i miei tacchini? Sono molti, più di cinquanta.
- E se poi ne perdo uno?
- Starai attento. Ti do da mangiare e i vestiti. Come si chiamava tuo padre?
- Compare Pino. È cascato da un albero di ulivo, l'altr'anno, prima di Natale, ed è morto. Io non c'ero.
Anonimo -